Particolare della Carta archeologica di Narce del 1894

Particolare della Carta archeologica di Narce del 1894

La scoperta di Narce 

La scoperta di Narce si inquadra all’interno di quegli anni d’oro, all’inizio della storia dell’archeologia italiana post unitaria, gli anni dell’impresa della Carta Archeologica d’Italia nata dall’incontro di G. F. Gamurrini e A. Cozza nel 1881 e promossa dal Ministro R. Bonghi e da F. Barnabei all’epoca Ispettore della Direzione Generale dei Musei e degli Scavi del Ministero della Pubblica Istruzione (poi Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti). Ne furono protagonisti “il commendator G. F. Gamurrini e sotto di lui il sig. conte Adolfo Cozza e il sig. Angelo Pasqui. Ad essi più tardi furono associati il bravo ing. Mengarelli ed il valente disegnatore sig. Enrico Stefani”, come ricorda lo stesso Barnabei. 

L’impresa da subito si tinge, nei diversi racconti e soprattutto nell’autobiografia di Gian Francesco Gamurrini, dei toni di una grande avventura.

E con tale spirito probabilmente fu effettivamente vissuta: notti passate all’addiaccio all’interno di capanne di pastori, la celebre caduta di Adolfo Cozza in una voragine che si era aperta di fronte ad un “sepolcro etrusco” con il pronto salvataggio di Angelo Pasqui, sono episodi quasi leggendari, una sorta di “tempo del mito di fondazione” della disciplina archeologica.

I primi rilievi di Narce, in un certo senso la scoperta di Narce, possono essere inquadrati tra il febbraio e il maggio del 1883, quando A. Cozza e A. Pasqui cominciano a lavorare sul ‘quadrato’ di Ronciglione e a giugno inviano da Sutri al Ministero della Pubblica Istruzione i lucidi “dell’ampliamento del sistema viario” che comprende anche il territorio di “Mazzano, Calcata, Castello e Faleria”. Negli schedoni relativi al quadrato di Ronciglione compaiono per la prima volta indicazioni relative alla “Località antica difesa da mura detta Monte Li Santi”, alla “Località antica ugualmente cinta denominata Narci o Narce”, alla “località antica ove oggi risiede il villaggio di Calcata” e infine alla “Scogliera isolata e difesa da mura; oggi viene detta il convento di Santa Maria”.

Tuttavia, la scoperta delle antichità di Narce non produsse immediate indagini estensive, che entro la seconda metà del 1883 interessarono invece il territorio capenate. Nel 1884, la scoperta di Falerii focalizzerà tutta l’attenzione e le energie su Civita Castellana. Perché si giunga di nuovo ad indagare Narce occorre attendere l’inizio del 1890. Il ritorno nel sito si inserisce in un piano scientifico di ricerca molto puntuale concepito da F. Barnabei (il cui busto è visibile nell’immagine a sinistra), di cui rimane testimonianza nelle sue Memorie di un archeologo, pubblicate nel 1991 a cura di Margherita Barnabei e Filippo Delpino. Il volume non è solo una fonte preziosissima di dati e informazioni, ma ci proietta, attraverso le parole del suo autore – più formali nelle Memorie ufficiali, più libere e istintive nel Diario personale – nel complesso quadro storico, politico e culturale della fine del XIX e gli inizi del XX secolo.

Nelle sue Memorie Narce ha un posto di rilievo fin dagli albori e, via via, la storia degli scavi si intreccia con quella della formazione del Museo di Villa Giulia e delle tormentate vicende che coinvolsero il Museo e il suo fondatore.

Gli scavi di Narce, tra interessi economici e aspirazioni scientifiche 

Il sito archeologico di Narce si identifica con il toponimo Narci/Narce, ovvero l’altura (q. 199,2 s.l.m.) che si innalza immediatamente a sud dell’abitato di Calcata. L’area è oggi divisa, amministrativamente, tra i comuni di Mazzano Romano e Calcata, tra le province di Roma e Viterbo, e ricalca in tal modo la divisione territoriale dei due incastellamenti medievali più o meno coincidente, fino agli inizi del Novecento, con gli estesi possedimenti feudali dei Principi Del Drago e dei Duchi Massimo. Gli scavi si svolsero prevalentemente nei terreni delle due famiglie nobiliari, e rilevante sarà la figura di Filippo Del Drago principe di Mazzano nelle travagliate vicende delle prime indagini. 

Gli scavi di Narce, come in precedenza quelli di Falerii, furono ‘appaltati’ a scavatori privati, sotto il controllo dei funzionari governativi. Mentre a Civita Castellana si erano costituite vere e proprie società di scavo organizzate, a Mazzano e Calcata, probabilmente, la mancanza di una strutturazione civica come quella di Civita Castellana sarà la premessa di uno scenario completamente diverso: i due borghi nella seconda metà dell’Ottocento erano popolati da poche centinaia di abitanti, nella maggior parte contadini, affittuari o mezzadri, al servizio dei Del Drago o dei Massimo.  

Ai due comuni, e dunque alle due proprietà feudali, corrisponderanno distinti gruppi di scavatori, spesso in conflitto tra loro: a Mazzano, nelle proprietà Del Drago, opereranno soprattutto Carlo Cianni e Francesco Mancinelli Scotti di Civita Castellana; a Calcata, nelle proprietà dei Massimo, scaveranno esclusivamente l’antiquario Annibale Benedetti e suo figlio Fausto; a sovrintendere a tutti gli scavi era A. Cozza. Anche A. Pasqui era spesso presente sul territorio.

Tra il 1890 e il 1892 furono esplorate, in maniera più o meno estensiva, più di venti necropoli, distribuite sui pendii circostanti i tre nuclei dell’abitato: Narce, Monte Li Santi e Pizzo Piede, soprattutto nella fascia meridionale e orientale. Circoscritti sondaggi di scavo interessarono anche l’abitato di Monte Li Santi e un’area di fondovalle, sulla riva destra del Treja, dove venne alla luce un tempio il cui scavo fu di lì a breve sospeso perché ritenuto poco fruttuoso.

Nel corso degli scavi, i corredi venivano divisi e conservati nei magazzini dei diversi proprietari dei terreni e degli scavatori privati, a seconda della spettanza, dove Cozza e Pasqui ne vagliavano l’acquisto da parte dello Stato, in vista di una loro esposizione nel Museo di Villa Giulia. 

L’apertura di Villa Giulia venne a quel tempo certamente osteggiata da Luigi Adriano Milani, direttore del Museo Etrusco «centrale» di Firenze che però non riuscì ad impedirne l’apertura. Sono gli anni della cosiddetta guerra etrusca ed anche le tombe di Narce rientrano nel turbinio della contrapposizione tra Milani e Barnabei.

Il 1894 è segnato dall’edizione dei risultati degli scavi di Narce nei Monumenti Antichi dei Lincei. La portata della pubblicazione è certamente storica perché segna una svolta nella concezione dell’edizione scientifica archeologica in senso monografico. Alla presentazione delle ricerche segue l’introduzione sul sito e sulle necropoli. A. Cozza cura la tipologia delle strutture funerarie ed assieme a Barnabei quella dei manufatti. Per la prima volta l’impianto tipologico si fa strada in una pubblicazione archeologica accompagnata da un’attenzione modernissima ai processi di lavorazione e ai dettagli tecnici delle singole classi. La presentazione delle necropoli e delle singole tombe è curata da A. Cozza e da A. Pasqui. G. F. Gamurrini è l’autore della ricca sezione epigrafica. Il successo della pubblicazione dei Monumenti Antichi del 1894 attrae le attenzioni della gran parte del mondo accademico italiano ed europeo. 

Gli scavi di Narce e il commercio internazionale 

Negli ultimi anni dell’800 l’archeologia di Narce vede la presenza di tre studiosi stranieri destinati a segnare la storia del prosieguo degli scavi e delle ricerche di Narce: il francese Gustave Paille, l’americano Arthur Lincon Frothingham, il tedesco Wolfgang Helbig. I primi contatti di G. Paille con il Principe Del Drago risalgono al 1893;  per conto del Principe egli seguì gli scavi nelle necropoli di Monte Lo Greco e Monte Soriano nel periodo 1896-97, con la supervisione di Raniero Mengarelli; successivamente partecipò accanto ad Angelo Pasqui alla campagna del 1902. 

Siamo agli albori dell’American School of Rome. Sir. L. A. Frothingham è “Junior Associate Professor” dell’Accademia. L’avvicinamento di Frothingham all’Agro falisco si deve ad una visita del 1896 alle collezioni del Museo di Villa Giulia che suscitò in lui un entusiasmo sconfinato per le recenti esposizioni dei materiali di Narce.

La sua presenza sul territorio lo porterà all’acquisto di una serie di corredi da Francesco Mancinelli Scotti e da Fausto Benedetti, destinati ad implementare le collezioni degli istituti museali dell’University of Pennsylvania Museum di Philadelphia e del Field Museum of Natural History di Chicago.

Ma proprio per la gestione poco chiara degli acquisti dei materiali di Narce la carriera del Frothingham ebbe una battuta d’arresto e si concluse con il suo ritiro a Princeton. Per Wolfgang Helbig è necessario attendere l’evoluzione degli eventi del biennio 1897- 1898 prima di introdurre la sua figura il cui peso storico è molto maggiore, rispetto ai due studiosi precedenti, sulla sorte degli scavi di Narce.

Il 1897 è certamente un anno cruciale per la storia delle ricerche di Narce. L’anno si inaugura con la pubblicazione di un libello a firma di Francesco Mancinelli Scotti, dal titolo Relazione degli scavi eseguiti a Narce, Faleri, Corchiano, Nepete, Sutrium e Capena, in realtà dedicato alla sola Narce. L’unico valore scientifico del testo di Mancinelli Scotti, difficilmente utilizzabile per la ricostruzione del record archeologico di Narce, risiede nell’essersi soffermato sia sulla tipologia delle strutture funerarie, sia sulla disposizione del corredo di accompagno e degli ornamenti personali all’interno dei sepolcri. La pubblicazione sembra avere come unico scopo quello di presentarsi come un credibile e onesto scavatore in una sorta di autodifesa, che caratterizzerà tutte le produzioni scientifiche e divulgative del decennio successivo, nella grande stagione degli scandali e dei processi che coinvolsero le scoperte di Narce.    

La stagione degli scandali: il Processo del Drago   

Nel 1897 si apre una vicenda processuale incentrata sugli scavi di Narce che è destinata a durare a lungo: si tratta del processo intentato contro il Ministero della Pubblica Istruzione dal principe Filippo Del Drago, proprietario dei terreni ad ovest del fosso della Mola di Magliano entro i quali a partire dal dicembre del 1889 erano iniziati gli scavi governativi diretti da A. Cozza. Il Principe lamenta di avere subito una frode economica, avendo ricevuto solo 400 £ pagate dal Ministero nella persona di A. Cozza per i materiali acquistati dallo Stato a fronte del valore stimato dal Paille in 250.000 £; nella denuncia viene inoltre sottolineata un’ulteriore frode rappresentata da furti operati dagli scavatori Carlo Cianni e Cherubino Cherubini che lavoravano sotto la supervisione di A. Cozza.

Il processo finì in prescrizione. I due imputati Carlo Cianni e Cherubino Cherubini vennero assolti dall’imputazione. Nella sentenza di conferma del 15 maggio 1899 il tribunale civile di Roma condanna Filippo Del Drago al pagamento delle spese processuali. 

Il Processo Del Drago mette in luce il groviglio di interessi economici che sottostava agli scavi di Narce e l’esistenza di un sottobosco di faccendieri che si muovevano in un clima di alterne alleanze e ostilità al solo scopo di trarne giovamento a livello personale. E anticipa le drammatiche vicende rappresentate dallo “scandalo di Villa Giulia”.   

La stagione degli scandali: Lo “scandalo” di Villa Giulia

Il racconto delle travagliate vicende legate allo “scandalo di Villa Giulia” costituisce il fulcro delle Memorie di un archeologo di F. Barnabei. Dall’esposizione del Maggio 1892 all’inverno del 1899, le antichità di Narce, nella grande sala semicircolare del Museo di Villa Giulia, avevano raccolto il plauso del pubblico e degli studiosi italiani e stranieri. Sette anni durante i quali nessuno studioso aveva messo in dubbio l’attendibilità dei corredi. È solo a partire dal novembre del 1898 che cominciano a circolare le accuse che W. Helbig stava raccogliendo contro l’esposizione di Villa Giulia. L’accusa di Del Drago infatti non aveva considerato il dato scientifico, se non marginalmente, bensì solo la frode che il Ministero della Pubblica Istruzione avrebbe commesso all’atto di acquisto dei materiali nel gennaio del 1891, simulando un valore e dunque un prezzo molto minore dei rinvenimenti. È solo nella seconda parte del processo, durante il 1898 che si comincia ad insinuare il dubbio che, accanto alla frode economica, fosse stato alterato anche il dato scientifico.

Nel febbraio del 1899 W. Helbig, nel pubblicare la seconda edizione della sua guida dei musei romani, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom, esclude volutamente il Museo di Villa Giulia perché, a suo dire, la presentazione del materiale falisco e in particolare di Narce era stata viziata da una grave alterazione dei contesti archeologici. Tale situazione provocò la creazione di una Commissione di Inchiesta Ministeriale, composta da A. Bonasi, G. Ghirardini, L. Pigorini, con il compito di chiarire l’attendibilità della conduzione degli scavi e dunque l’affidabilità scientifica dei corredi di Narce esposti dal 1892 nel Museo di Villa Giulia. Furono esaminati e confrontati documenti prodotti nel corso degli scavi con quelli relativi alle diverse fasi di immissione nelle collezioni del Museo (Note di vendita, Schede dei corredi redatte all’arrivo nei depositi di Villa Giulia da D. Cardella, Catalogo Pasqui, la cui copia si deve a Mancinelli Scotti, e il volume stesso dei Monumenti Antichi), e furono raccolte le deposizioni di numerosi testimoni.

Il lavoro della Commissione si concluse sottolineando l’infondatezza delle accuse dell’Helbig, mosse da un risentimento personale nei confronti del Barnabei fautore delle restrizioni imposte dal Ministero verso il collezionismo straniero nel momento in cui si andavano configurando le prime timide legislazioni in materia di scavi di antichità e di commercio dei beni culturali con l’estero. 

La fine di un’epoca

L’ombra di discredito gettata su Felice Barnabei, sui membri del progetto della Carta Archeologica e sull’istituzione museale di Villa Giulia ebbero conseguenze ben al di là delle risoluzioni processuali. Il declino agli inizi del Novecento del neonato Museo Etrusco di Villa Giulia può essere ascritto tra gli effetti del discredito generale. Ma la stagione dello “scandalo di Villa Giulia” non è affatto conclusa.

A delineare infatti un quadro ancora più fosco sulla storia degli scavi di Narce contribuisce il ‘libello’ del 1900 – Gli scavi di Narce e il Museo di Villa Giulia – di Fausto Benedetti. Si tratterebbe, secondo Benedetti, della stessa relazione presentata alla Commissione di inchiesta ministeriale, cui non sarebbe stato dato sufficiente credito nell’ambito dell’inchiesta. O meglio di una riscrittura, dal momento che la gran parte dei documenti originali – stando alle parole di Benedetti – furono consegnati durante l’inchiesta alla Commissione e mai restituiti; di qui la scelta di pubblicare la relazione integralmente. L’immagine di Adolfo Cozza, in particolare, è descritta con accenti non proprio lusinghieri: assente dagli scavi, legato da relazioni di interesse economico alla figura di Francesco Mancinelli Scotti, acerrimo nemico dei Benedetti. 

Il testo di Fausto Benedetti resta ancora oggi uno strumento prezioso per chiunque si accosti allo studio del territorio di Narce: rappresenta infatti, pur con le dovute cautele, un’importante base documentaria, specie per i corredi scavati direttamente dall’autore; nello stesso tempo, meglio di ogni altro, descrive il clima entro cui gli scavi di Narce erano portati avanti. Anche il libro di F. Benedetti va analizzato però con prudenza; il risentimento personale che lo animava nei confronti di Barnabei emerge infatti con chiarezza dal suo secondo libello, Le Rivelazioni di Fausto Benedetti sopra il Museo di Villa Giulia e la stampa estera, una raccolta degli editoriali della stampa straniera sugli scavi di Narce e sull’esposizione di Villa Giulia, uscito a suo nome nel 1901, ma magistralmente preparato, dietro le quinte, da Helbig che ne firma la prefazione.

Barnabei, che nel frattempo è eletto deputato, subisce un esilio volontario, venendo forzatamente “dimesso” ed sostituito da C. Fiorilli alla guida della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti.

Angelo Pasqui e i nuovi scavi nelle necropoli di Narce

L’uscita di scena del Barnabei aprirà la strada, nella gestione di Villa Giulia e degli scavi di Narce, ad A. Pasqui che, pur avendo partecipato alle prime ricerche, aveva sempre mantenuto un profilo basso. In una relazione amministrativa inviata, su richiesta, al Fiorilli, descrive una situazione di abbandono e di desolazione del Museo di Villa Giulia e avanza una proposta per superare una volta per tutte l’annosa questione delle tombe di Narce: sostituire i corredi sui quali erano stati adombrati dubbi con altri dichiarati di provenienza certa. In tal modo egli rigetta, meditatamente, il quadro che il Barnabei aveva faticosamente difeso sul valore scientifico degli scavi di Narce. 

Le nuove “ricerche sistematiche sulla necropoli di Narce”, auspicate dal Pasqui nella relazione inviata al Fiorilli nel marzo 1902, erano in realtà già state avviate dalla fine del 1901.

Si tratta degli scavi sistematici condotti su vaste fasce sia di necropoli già conosciute sia di nuovi sepolcreti, in una rinnovata collaborazione con i Del Drago e con la partecipazione di G. Paille; purtroppo pur essendo stati pubblicati con immediatezza da A. Pasqui i risultati delle indagini nelle Notizie degli Scavi 1902, i contesti portati alla luce andarono tutti dispersi. Sicché, se nelle intenzioni del Pasqui erano questi i corredi destinati a sostituire quelli esposti dal 1892, il suo auspicio cadde nel vuoto. L’allestimento voluto dal Barnabei sarà dismesso solo con l’avvento del secondo conflitto mondiale.  

Si inserisce in questi anni anche l’ultima notizia riguardante Mancinelli Scotti, che terminò la sua ‘carriera’ di scavatore a Narce con una denuncia per scavi abusivi nel territorio di Calcata. L’intervento del Comando dei Carabinieri di Faleria bloccò lo scavo multando il Mancinelli ed un certo Calzani Roberto; fu recuperata e sottoposta a sequestro la refurtiva nascosta sia nell’abitazione di un privato – G. Cimarra – sia in un nascondiglio scavato in un terreno in aperta campagna. 

La “rinascita” di Villa Giulia e la nascita della Soprintendenza archeologica

Nel 1904 alla Direzione del Museo di Villa Giulia viene nominato A. Sogliano. La sua conduzione del Museo segna una prima timida inversione di tendenza rispetto al declino in cui lo scandalo aveva condotto sia il museo che la sua istituzione. Cominciano così i lavori di restauro per l’apertura dell’ala meridionale secondo il progetto del Museo che era stato immaginato da A. Cozza. Questa nuova stagione è segnata, a livello istituzionale, dalla creazione della “Soprintendenza sugli Scavi e Musei di Roma e Provincia”, da cui Villa Giulia dipende ma con direzione ed amministrazione autonome. La gestione Sogliano non è però cruciale per la ripresa del Museo.

L’anno chiave per la storia di Villa Giulia è certamente il 1908 con la nomina di G. Colini alla sua direzione. Il progetto di Colini non riguarda soltanto la vita del Museo ma, con una prospettiva lungimirante, è finalizzato alla promozione di una serie di interventi legislativi che portano ad un sostanziale allargamento del territorio di competenza del Museo che si trova, inoltre, ad operare in totale autonomia. Con il Regio Decreto n. 505 del 7 Marzo 1909 si istituisce infatti la “Direzione degli scavi per i mandamenti di Civitavecchia e Tolfa” con sede proprio a Villa Giulia e si assegna allo stesso Museo la competenza sugli scavi dell’Etruria suburbana e per la fascia dell’Umbria alla sinistra del Tevere. Con il Regio Decreto n. 1020 del 2 Febbraio 1912 viene infine assegnata a Villa Giulia la competenza sui territori di Tarquinia e di Viterbo. 

Il 9 Giugno 1912, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III e del Ministro Luigi Credaro, viene finalmente inaugurato il nuovo Museo di Villa Giulia, arricchito rispetto all’originaria collezione falisca. Esposta ancora al piano superiore, viene a comprendere anche gli ambienti minori dove furono collocati i materiali provenienti dalle indagini intraprese in quegli anni nei centri minori nel territorio falisco: Corchiano, Fabrica di Roma, S. Maria di Falleri, Rignano Flaminio, Faleria, Gallese, Trevignano Romano, Nepi, Vignanello e Campagnano Romano. 

Alla ripresa dell’attività del Museo di Villa Giulia contribuisce la prima guida completa del Museo con un’ampia sezione dedicata alle antichità del territorio Falisco, curata nel 1918 da Alessandro Della Seta, che include per la prima volta anche le antichità di Narce.

Narce e i “suoi” Musei

Durante la Seconda Guerra Mondiale ed in particolare a partire dal 1943, con l’avanzare del conflitto, viene chiuso al pubblico il Museo di Villa Giulia, trasformatosi in un enorme magazzino in cui proteggere le opere dalla distruzione della guerra. I materiali di Narce vengono rapidamente inscatolati e messi al riparo nei depositi del Museo, mentre i materiali inamovibili sono ammassati al centro delle sale, al riparo con barriere di protezione. 

Già dagli anni Cinquanta su iniziativa di R. Bartoccini, Soprintendente alle Antichità dell’Etruria Meridionale, era stata concepita la creazione di un Museo territoriale dell’Agro falisco nel Forte Sangallo di Civita Castellana, cui destinare le antichità del territorio non più esposte ormai a Villa Giulia e per la gran parte relegate nei suoi depositi. 

Gabriella Begni Perina, che sarà successivamente funzionario responsabile dell’Agro falisco fino al 1987, dal 1952 si occupò del trasferimento di più di 150 casse di corredi falisci nei depositi del Forte, in attesa dell’apertura del Museo. Nella grande sala semicircolare, che aveva ospitato le antichità di Narce, a partire dal 1959 saranno esposte le ceramiche della collezione Castellani. A Villa Giulia rimasero esposti nella sala 25 solo pochi corredi. 

Dopo la prima infelice esperienza di un Museo Falisco a Civita Castellana promossa dai fautori della Carta Archeologica, il progetto della creazione di un Museo Falisco al Forte Sangallo prese definitivamente piede e grazie alla tenacia del Soprintendente Mario Moretti venne inaugurato nel 1977. In quell’occasione furono aperte al pubblico solo tre sale, il cosiddetto “museo piccolo” dove oggi sono esposti i materiali provenienti da Narce. 

Il 1985, l’Anno degli Etruschi coinvolge anche l’Agro falisco. Nel Forte Sangallo di Civita Castellana i materiali dagli scavi di Narce, Falerii e tutto l’Agro falisco, fino a quel momento per la gran parte ancora chiusi nelle casse dell’invio da Villa Giulia degli anni Sessanta, vengono infine aperti e M. A. De Lucia realizza il primo allestimento che occupa ora la gran parte del piano nobile del Forte.

Nel 1998 dopo circa un decennio dedicato al restauro e al riallestimento delle sale, riapre la nuova sezione sulle antichità dei Falisci a Villa Giulia. Alcuni spettacolari corredi di Narce trovano posto nella sala 27 e vanno ad integrare la narrazione sul sito offerta dai corredi esposti a Civita Castellana.

Nel 2012 nasce il MAVNA di Mazzano Romano: in apparenza una piccola sede espositiva a confronto con il Museo di Villa Giulia e il Museo di Civita Castellana, ma, come è stato osservato,    “la nuova istituzione museale incarna, nel senso letterale, quello spirito di avamposto culturale [proprio di Narce], cercando di riannodare le fila di una storia archeologica travagliata, ‘frantumata e dispersa’, accanto allo sforzo e alla caparbietà dei tanti studiosi che, in vario modo, hanno cercato e cercano di ricomporre, utilizzando la nuova frontiera tecnologica della virtual reality, di far ‘tornare a casa’ o ricontestualizzare quanto è andato disperso e al contempo far ‘sentire a casa’ chi tutt’ora abita quel luogo.” (Biagio Giuliani)  

Narce tra ricerca e tutela 

La costituzione della Soprintendenza e la sua evoluzione amministrativa nel lungo periodo vede un’intensa attività di scavi e ricerche uniti alla necessità di tutelare uno straordinario paesaggio archeologico.

Nel corso dei primi trent’anni del Novecento la gestione delle ricerche e della tutela del territorio falisco ed in particolare del distretto di Narce passano dal controllo di Angelo Pasqui ad Enrico Stefani, e infine all’ “ingegnere” per antonomasia della storia dell’etruscologia: Raniero Mengarelli. Nel 1933 si colloca la prima campagna di scavi urbani dopo le indagini sporadiche di fine Ottocento condotte da Cozza e Pasqui e un breve intervento ad opera di A. Pasqui nel 1902 sull’altura di Monte Li Santi con la scoperta di una struttura semicircolare foderata da blocchi in opera quadrata. Gli scavi del 1933 si concentrarono sul pianoro di Pizzo Piede e portarono al rinvenimento di materiali riferibili anche ad un santuario urbano, di strutture e di tracce delle mura di difesa dell’abitato, della via lastricata d’accesso, oltre ad alcune evidenze funerarie.

Dai primi anni Quaranta il territorio falisco passa nella sfera di controllo di Maria Santangelo, i cui interventi si concentrarono soprattutto su Veio, tralasciando completamente Narce. 

Tra il 1962 e il 1963 si consuma intanto uno scempio archeologico che danneggerà per sempre il sito di Narce. Si tratta della costruzione della strada provinciale 17/b Mazzano – Calcata. Fino a quel biennio, i due paesi, gravitanti l’uno verso l’asse viario della Cassia, e l’altro verso la Flaminia, erano stati collegati dalla carrareccia che, provenendo da Mazzano, piegava a sud dell’altura di Monte Li Santi, scendeva lungo il fosso della Mola di Magliano e, lasciandosi ad est la sommità di Narce, risaliva verso Calcata all’altezza della confluenza tra il fosso della Mola di Magliano e il Treja. Il nuovo percorso della strada, più breve – si tratta di soli 6 km – prevedeva, allora come oggi, una discesa ad est dell’altura di Monte Li Santi, dunque nella Valle del Treja, e il passaggio sul versante opposto del Fosso della Mola di Magliano in corrispondenza della sella tra Narce e Monte Li Santi. Gli ingenti lavori per la costruzione portarono a sventrare con profondi sbancamenti, ottenuti mediante l’utilizzazione di mine, la necropoli de La Petrina, in particolare in corrispondenza del nucleo sommitale, e soprattutto, comportarono la distruzione del viadotto artificiale di collegamento tra Narce e Monte Li Santi. Costruito presumibilmente nel corso del VI secolo a.C., questo poderoso monumento di ingegneria e di urbanistica, costruito in blocchi di tufo perfettamente squadrati, alto in origine più di quaranta metri, conservava una cospicua porzione rivenuta “intatta e ben conservata” al tempo dei primi scavi di Narce. La messa in opera della strada provinciale tagliò di netto il collegamento, obliterando anche, attraversato il fosso della Mola di Magliano, la prospiciente necropoli de I Tufi.

Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta a Narce si apre la stagione degli scavi in abitato promossi dalla British School at Rome in collaborazione con la Soprintendenza alla Preistoria e all’Etnografia, su iniziativa di John Bryan Ward Perkins e di Renato Peroni, con l’incoraggiamento di Massimo Pallottino. 

A dirigere lo scavo britannico fu Timothy W. Potter, mentre il sondaggio della Soprintendenza fu diretto da Maria Antonietta Fugazzola. Lo scavo della Soprintendenza, di limitata estensione, fu condotto però in profondità al fine di chiarire l’entità del deposito stratigrafico e si esaurì con la campagna del 1969. Lo scavo della British School proseguì invece fino al 1971 investigando un’ampia porzione del fondovalle. I dati provenienti dallo scavo inglese confermarono le deduzioni di Peroni e della Fugazzola, restituendo molti dati relativi alle capanne del bronzo e ad una porzione di necropoli impiantata nell’area a partire dall’Orientalizzante recente (630-580 a.C.), oltre a dimostrare la presenza di un’officina per la lavorazione delle tegole di età repubblicana. La metodologia stratigrafica dello scavo come l’attenzione ai contesti e la presentazione pressoché totale dei materiali rinvenuti (nella pubblicazione del 1976) fanno dello scavo Potter uno strumento imprescindibile per la comprensione dello sviluppo storico di Narce. È una messe di nuovi materiali quella che Potter presenta e, nonostante alcune imprecisioni nelle datazioni delle diverse fasi, costituisce ancora oggi l’unica edizione completa di uno scavo stratigrafico dell’abitato di Narce. La British School condusse anche una campagna di ricognizioni nel territorio di Narce edita in parte nel 1976, in parte nel 1979 nell’ambito della ricostruzione del paesaggio dell’Etruria meridionale sempre a cura di T. W. Potter.

Gli inizi degli anni Ottanta segnano una tappa fondamentale nella storia delle ricerche su Narce ed in genere sull’Agro falisco. È una tappa che si lega ai nomi di due studiose allieve di Massimo Pallottino, formatesi alla sua scuola di Etruscologia e Antichità Italiche di Roma: Maria Paola Baglione e Maria Anna De Lucia Brolli. Operando rispettivamente nell’Università di Roma La Sapienza e nella Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale cominciarono ad affrontare, con l’incoraggiamento del comune maestro, l’opera di studio e revisione dei vecchi scavi dell’Agro falisco finalizzata all’edizione scientifica completa dei diversi sepolcreti di Falerii e di Narce, e dei dati degli abitati divenuta ormai indispensabile a distanza di un secolo esatto dalla scoperta di Narce. 

Negli stessi anni, alla storia della tutela e della valorizzazione del sito archeologico e del territorio concorre l’istituzione nel 1982 dell’Ente Parco Regionale del Treja. Con un’estensione limitata al bacino del fiume e alle propaggini tufacee immediatamente prospicienti, in un’area compresa approssimativamente dalla Mola di Monte Gelato fino all’Agnese, oltre Calcata, la realtà del Parco favorì da subito un controllo maggiore sull’attività di scavo clandestino sempre molto attiva in tutta la valle.

La realtà della tutela del sito e del territorio di Narce, al momento dell’assegnazione a Maria Anna De Lucia come funzionario responsabile, è certamente critica. L’azione dei clandestini è in un momento di grande fervore ed è necessario contrastarla, vigilare sull’utilizzo agricolo dei terreni per evitare danni al patrimonio archeologico conservato nel sottosuolo sottoposto a vincolo e tutelare anche il paesaggio antico nel suo insieme. La collaborazione con il Parco Regionale della Valle del Treja diviene sempre più fitta e porta ad un controllo più mirato nel territorio. Ed è proprio nell’ambito del controllo degli interventi dei privati sui terreni sottoposti a vincolo che nell’inverno del 1985 vengono alla luce nella valle delle Rote, alle pendici di Monte Li Santi, con le arature, i resti di numerosissimi blocchi di tufo e frammenti architettonici e fittili. I primi sondaggi di scavo della Soprintendenza, tra il 1985 e il 1986, portano alla luce i resti di un complesso monumentale, riconosciuto da subito come santuario suburbano, che verrà indagato fino al 2004 e successivamente nel 2014.

Leggere per conoscere Narce

In generale nella prima metà del Novecento non saranno pubblicati studi condotti da studiosi italiani, dedicati a Narce, o più in generale a tutto l’Agro falisco, contribuendo all’idea di un generale “silenzio” del territorio. Rimase inedito anche lo studio avviato da G. Q. Giglioli negli anni Venti con la raccolta di una cospicua documentazione conservata fra le ‘Carte Giglioli’ negli archivi dell’ex Istituto di Etruscologia e Antichità Italiche della Sapienza – Università di Roma. 

È invece all’estero che prosegue l’analisi e lo studio dei materiali falisci, da un lato inserendo singoli oggetti o classi di materiali da Narce in pubblicazioni di più ampio respiro territoriale, dall’altro pubblicando consistenti nuclei funerari conservati in istituzioni museali straniere. 

Nel 1910, una tappa importante nello studio delle antichità di Narce è rappresentata dalla pubblicazione La civilisation primitive en Italie depuis l’introduction des métaux, monumentale opera dell’archeologo svedese O. Montelius purtroppo rimasta incompiuta; nell’ultimo volume sono presenti le sole tavole, senza il testo, che comprendono la raffigurazione di un’ampia scelta di materiali da Narce, ricordati nei Monumenti Antichi dei Lincei 1894 solo sinteticamente e senza immagini.  

Su questa linea, nel 1930 una selezione di bronzi da Monte S. Angelo e Narce è riproposta da N. Åberg nel suo Bronzezeitliche und Früheisenzeitliche Chronologie e nel 1943 Å. Åkerström presenta una limitata scelta di materiali ceramici da Narce nella sua Der geometrische Stil in Italien

In questa prima fase, classi di studio privilegiato saranno i materiali di bronzo, come gli scudi laminati inclusi nell’importante lavoro di I. Ström del 1971 sull’origine e la diffusione dell’Orientalizzante (Problems Concerning the Origin and Early Development of the Etruscan Orientalizing Style), e i manufatti metallici quali spade, coltelli, rasoi, e spilloni presentati nei corpora dedicati all’Italia continentale nella serie dei Prähistorische Bronzefunde.

In parallelo con questa attenzione ai singoli oggetti restituiti da Narce, si avverte sempre più l’esigenza di porre mano allo studio dei contesti acquisiti nell’800 dalle Istituzioni straniere. 

Narce e il Museo di Philadelphia. Fin dai primi decenni del Novecento il legame di Narce con le istituzioni scientifiche estere, americane in particolare, si riflette nella monografia The Faliscans in the preisthoric times, pionieristico studio dell’americana Louise A. Holland del 1925 che rende noti scientificamente per la prima volta una serie di materiali conservati nelle collezioni dell’Università di Philadelphia. 

Ai contesti narcensi custoditi a Philadelphia Edith H. Dohan dedica nel 1942 un approfondito studio. Sono presentati integralmente per la prima volta la gran parte dei materiali provenienti dagli scavi del 1896, e acquistati tra il 1896 e il 1897 dal Frothingham. I ventuno contesti editi provengono, nella maggior parte, dagli scavi Mancinelli del 1896 ma anche dai Benedetti, con i quali il Frothingham nella sua campagna acquisti era entrato in contatto. I materiali erano stati inviati a Philadelphia da Civitavecchia via nave in due distinti carichi che comprendevano anche una mole consistente di documentazione. Le fonti alle quali la Dohan poteva fare riferimento erano però disomogenee, accurate e particolareggiate in alcuni casi, più esigue in altri; a volte i corredi erano completamente privi di indicazioni. Anni di paziente lavoro basato sul confronto tra i materiali e le descrizioni degli elenchi delle note di vendita con le fotografie d’insieme dei corredi e con gli appunti redatti dallo stesso Frothingham consentirono alla studiosa di ricostruire con un alto grado di attendibilità molti contesti; altri furono espunti; altri ancora ricomposti secondo associazioni che alla luce di questa approfondita e critica analisi erano risultate in vario modo alterate.

Purtroppo l’improvviso infarto, nella torrida estate di Philadelphia del 1943, che la colse nel suo studio, proprio mentre lavorava ad un’edizione del materiale non incluso nella prima pubblicazione, le impedì di completare il lavoro avviato.

Il testimone è stato raccolto molti anni dopo da Jean MacIntosh Turfa. La riapertura nel 2003 della Etruscan Gallery dedicata a Kyle Phillips, lo scopritore di Murlo, alla University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology, offre al pubblico americano una nuova veste dei materiali di Narce acquistati da A. L. Frothingham ed editi da E. H. Dohan nel 1942. A curare la nuova esposizione ed autrice del Catalogue of the Etruscan Gallery of the University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology è Jean MacIntosh Turfa, allieva di Phillips al Bryn Mawr College e al tempo dell’inaugurazione professoressa presso la stessa università. 

I materiali sia nell’esposizione museale che nel catalogo non vengono presentati per contesti, ma in base a linee tematiche in grado di far cogliere al visitatore alcuni aspetti della vita, del costume e dell’ideologia funeraria etrusca e falisca. I lavori su Narce di J. Turfa, fin da subito aperti alla collaborazione interdisciplinare specialmente con l’antropologia fisica, culminano in collaborazione con Marshall J. Becker e Bridget Algee-Hewitt con l’edizione del 2009 di tutti i resti antropologici provenienti da contesti etruschi e falisci conservati presso il museo (Human Remains from Etruscan and Italic Tomb Groups in the University of Pennsylvania Museum). La pubblicazione dei diversi contesti da Narce costituisce il primo contributo sistematico ed organico offerto alla conoscenza antropologica della popolazione di Narce e costituisce la base naturale per ogni altro studio incentrato sulle analisi dei resti umani dell’Agro falisco.

Narce e il museo di Chicago. Quasi in un’ideale continuità rispetto all’edizione dei materiali conservati a Philadelphia, nel 1972 sono resi noti anche i corredi tombali venduti dal Frothingham al Field Museum di Chicago; il volume Seven italic tomb-group from Narce di J. M. Davison, nasce nell’ambito della tesi di perfezionamento della studiosa presso l’Università Italiana per stranieri di Perugia. A differenza dell’accurato studio della Dohan, l’analisi dei contesti di Chicago rimane poco affidabile, non supportato dall’approfondito studio preliminare dei documenti d’archivio che caratterizza la pubblicazione della Dohan.

Narce e il Museo di Copenhagen. Un’ulteriore serie di contesti funerari acquistati alla fine dell’Ottocento e conservati all’estero, viene pubblicata nel 1974 da H. Salskov Roberts (Five tomb-groups in the Danish National Museum from Narce, Capena and Poggio Sommavilla). Si tratta di tre tombe orientalizzanti da Narce conservate al Danish National Museum di Copenhagen, assieme a contesti da Capena e Poggio Sommavilla. Le tre tombe edite dalla Salskov Roberts non sono le uniche provenienti da Narce. Successive ricerche d’archivio hanno consentito a J. Tabolli di individuare materiali scavati da Fausto Benedetti nel 1897 probabilmente nella necropoli de I Tufi e a M. P. Baglione e M.A. De Lucia di identificare la provenienza delle tre tombe edite dalla Salskov Roberts nelle necropoli di Pizzo Piede.

Narce e il British Museum. Tra i materiali confluiti all’estero è anche un piccolo nucleo di ceramiche provenienti dalla tomba 103 della necropoli di Monte Cerreto, altrimenti nota in bibliografia come “tomba degli ori”, conservato presso il British Museum di Londra. Non si tratta dell’intero corredo, ma solo dell’apparato vascolare, dal momento che la restante parte, soprattutto gli ornamenti, gli “ori”, sono conservati al Museo di Villa Giulia. Nel 1986 il gruppo di materiali viene finalmente pubblicato ma la pubblicazione di K. Berrgren non sviluppa l’analisi del contesto di provenienza confondendo Narce con Civita Castellana (Brown Impasto pottery from Civita Castellana, in Italian Iron Age Artefacts in the British Museum (a cura di J. Swaddling), 1986, pp. 257-266). 

Intanto in Italia, quello che potrebbe essere definito come un “silenzio” scientifico nelle pubblicazioni legate a Narce e a tutto l’Agro falisco, a fronte del dibattito vivace nell’ambito delle istituzioni straniere, viene interrotto dalla pubblicazione di un testo destinato a segnare il passo della storia dell’Etruscologia della seconda metà del secolo. L’attesa pubblicazione del Carta Archeologica vede finalmente la luce nel 1972. L’indice della Carta, pronto già in versione definitiva l’11 giugno 1897, era rimasto inedito e passato assieme alla mole immane di documenti prima tra le mani di A. Pasqui, poi di R. Mengarelli, fino alla fortunata ripresa dei lavori promossa in seno alla ricostruzione della Soprintendenza ad opera di Renato Bartoccini negli anni Cinquanta, che ne affidò l’edizione a Giuseppe Lugli nel 1956. La presentazione dei dati topografici assieme alla preziosa ricostruzione della storia delle ricerche della Carta Archeologica riaprono il dibattito legato all’archeologia dell’Agro falisco, apportando una nuova serie di dati relativi agli abitati, alle necropoli, alla ricostruzione degli assi viari. D’ora in avanti le pubblicazioni scientifiche dedicate al territorio avranno un nuovo strumento prezioso per la ricostruzione dei contesti archeologici falisci.

Se la pubblicazione della Carta Archeologica veniva a colmare parte della grande lacuna riguardante l’Agro falisco, allo stesso tempo, data la sua genesi, era ancora ascrivibile alla stagione ottocentesca degli scavi e delle ricerche. Il 1973 è segnato dalla prima riflessione e riconsiderazione del territorio falisco in un’ottica moderna. Il riferimento è all’articolo di Giovanni Colonna dedicato all’Etruria interna (Ricerche sull’Etruria interna volsiniese, in Studi Etruschi XLI, 1973). Pur non essendo legato specificamente al comparto falisco, G. Colonna riconsidera il ruolo cruciale svolto da questo territorio nella trasmissione di manufatti e di ideologie, facendone un filtro cruciale, in particolare in relazione al quadro archeologico della sponda orientale del lago di Bolsena. Sono infatti gli anni delle scoperte francesi nell’area di Bolsena e i materiali “falischeggianti” attraggono l’attenzione degli studiosi, italiani e stranieri, ancora una volta sul comparto falisco. E sebbene i rapporti morfologici tra i tipi siano maggiormente focalizzati su Falerii, anche il ruolo di Narce appare fondamentale, soprattutto rispetto alla vicina Veio.

Gli anni Ottanta del Novecento sono densi di novità scientifiche. L’urgenza dell’edizione moderna dei sepolcreti di Narce indagati alla fine dell’Ottocento comincia a farsi pressante nel panorama italiano. 

Ad aggiungere un tassello alla conoscenza ancora molto parziale dell’Orientalizzante antico della necropoli di Monte Lo Greco è l’edizione nel 1980, da parte di M. D. Molas i Font, della ricca tomba bisoma 18 (XXXII), oggetto del suo studio presso L’Escuela Espanola di Roma.

Le ricerche di M. P. Baglione trovano una prima sintesi nel 1986 in un articolo fondamentale, Il Tevere e i Falisci all’interno degli atti del VII incontro di Studio del Comitato per l’Archeologia Laziale. In esso si gettano le basi per reimpostare le diverse linee di ricerca sull’Agro falisco: dalla prima revisione delle cronologie dei contesti alle considerazioni sull’evoluzione diacronica di Falerii e Narce, dai rapporti con l’Etruria interna a quelli con il mondo Sabino e Piceno. Sono in particolare i rapporti prima con Veio poi con Caere a trovare una prima impostazione sia dal punto di vista delle strutture funerarie sia della circolazione dei manufatti.

Il 1987 è l’anno del Convegno di Studi Etruschi dedicato a La Civiltà dei Falisci. Nella storica introduzione, dedicata al rapporto dialettico tra Falisci ed Etruschi, Massimo Pallottino delineò i tratti programmatici del convegno registrando l’interesse diffuso che il solo annuncio dell’incontro due anni prima aveva suscitato nella comunità scientifica. L’impostazione rigorosamente diacronica costituisce una summa degli studi in corso sul territorio. Le riflessioni su Narce caratterizzano soprattutto la prima parte del convegno. Dopo la prima sezione preistorica e protostorica, con i contributi di M. A. Fugazzola Delpino e P. Petitti, vengono presentati per la prima volta da M. P. Baglione e M. A. De Lucia Brolli i nuovi dati sulla necropoli de Li Tufi. Fino a quel momento inedita, la necropoli de I Tufi, unica a non essere compresa nei Monumenti Antichi perché frutto di uno scavo del 1894, si configura come la ventitreesima necropoli di Narce. Il contributo delle studiose, oltre alla presentazione tipologica dei materiali rinvenuti, per la prima volta con dei disegni tecnici tali da poter essere citati a confronto nella letteratura scientifica, contiene in nuce tutte le problematiche e le prospettive che questa piccola necropoli offre per la ricostruzione della storia di Narce. 

Il convegno è ancora occasione per la prima presentazione dello scavo presso il ‘nuovo’ santuario di Monte Li Santi – Le Rote, nel raccordo con il sistema di santuari extraurbani costituito dal nuovo contesto e dal tempio indagato nel 1891 presso il guado orientale del Treja. 

Il convegno è infine l’occasione per l’identificazione da parte di G. Colonna di Narce con la Fescennium delle fonti. Accantonata l’ipotesi di Corchiano, la rilettura delle fonti porta lo studioso a confermare la prima identificazione che fu da subito proposta da F. Barnabei. Colonna si sofferma anche sull’articolazione dell’insediamento presentando i dati, provenienti da una ricognizione GAR condotta da A. Camilli, di un quarto “colle” di Narce, un’altura cinta da mura, subito a sud di Monte Li Santi a ‘quota 210’. Secondo Colonna l’insediamento urbano da subito si configurerebbe distribuito su cinque, se non sei, colli: Narce, Monte Li Santi, Pizzo Piede, Colle quota 210, Calcata e forse S. Maria.

Il convegno Nomen Latinum del 1995 è l’occasione per M. A. De Lucia Brolli e M. P. Baglione di riconsiderare nella totalità i dati archeologici di Narce, nel contributo I Falisci: il caso di Narce, incentrando la discussione soprattutto sui nuovi dati dell’abitato. In particolare le ricerche d’archivio condotte per anni, hanno consentito il riconoscimento dei materiali provenienti dallo scavo urbano di Pizzo Piede, diretto da Raniero Mengarelli nel 1933. Ma l’intervento al convegno è incentrato anche sull’analisi dello sviluppo delle necropoli in rapporto agli abitati. 

Il tema dell’ideologia funeraria è al centro anche della giornata di studio in memoria di Massimo Pallottino, scomparso nel febbraio del 1995, dedicata alle necropoli arcaiche di Veio. In quel convegno, che resta una pietra miliare nella storia degli studi su Veio, M. P. Baglione e M. A. De Lucia Brolli hanno approfondito il delicato tema, già declinato nelle pubblicazioni precedenti delle autrici, dei rapporti tra Veio e i Falisci, in Le necropoli arcaiche di Veio, a cura di G. Bartoloni, Roma 1997, pp. 145-171. In sintesi, pur nell’ambito di un legame strettissimo, sottolineato dalle studiose, che lega il grande centro protourbano di Veio e il più piccolo centro falisco di Narce, M. P. Baglione e M. A. De Lucia Brolli sottolineano alcuni caratteri salienti legati all’ideologia funeraria che distinguono sostanzialmente le due comunità.

A conclusione del lungo processo di analisi dei documenti di archivio conservati presso l’archivio storico della Soprintendenza archeologica dell’Etruria meridionale, M. P. Baglione e M. A. De Lucia Brolli pubblicano nel 1998 su Archeologia Classica una serie di Documenti inediti nell’Archivio storico del Museo di Villa Giulia. Contributi all’archeologia di Narce. Si tratta di disegni, redatti con ogni probabilità da E. Stefani delle tombe acquistate da L. A. Milani per il Museo etrusco “centrale”, quasi un atto di offesa alla completezza dell’esposizione fortemente voluta da Felice Barnabei. La riscoperta delle tombe fiorentine, fino a quel momento non attribuite ai contesti di provenienza, è accompagnato da una serie di fotografie di corredi delle diverse necropoli di Narce, nei quali le autrici riconoscono le tombe acquistate per il Copenhagen National Museum ed altri contesti smembrati o non acquistati dallo Stato. Il contributo conferma sempre di più come le ricerche d’archivio condotte in seno alla Soprintendenza e all’Università di Roma costituiscano la base imprescindibile per restituire attendibilità ai corredi di Narce.

Tra i più recenti contributi scientifici rientra la ricerca di F. Pitzalis, La volontà meno apparente. Donne e società nell’Italia centrale tirrenica tra VIII e VII secolo a.C., del 2011, che rappresenta l’occasione di una nuova lettura d’insieme di molti contesti funerari femminili di Narce, certamente uno dei dossier più complessi e articolati tra le coeve attestazioni dell’Etruria meridionale e del Latium vetus; nel 2013 vede la luce l’imponente studio di J. Tabolli che ha come oggetto la revisione integrale delle necropoli de I Tufi e della Petrina, una base documentaria che ha permesso allo studioso di proporre la prima seriazione cronologica per Narce (Narce tra la prima età del Ferro e l’Orientalizzante antico. L’abitato, I Tufi e La Petrina). 

Tra il 2015 e il 2018 vedono la luce i principali volumi sul santuario di Monte Li Santi-Le Rote, che si aggiungono ai vari articoli e contributi prodotti negli anni: I Tempi del Rito (2105) a cura di M. A. De Lucia Brolli e J. Tabolli ha accompagnato la mostra omonima al MAVNA; nel 2016 sono stati pubblicati i tre volumi dell’edizione integrale degli scavi fino al 1996, curata da M. A. De Lucia Brolli e da un’equipe di studiosi ai quali si deve il catalogo del materiale ritrovato nel corso delle varie campagne di scavo; infine al 2018 si data la monografia di M.A. De Lucia Brolli Riti e cerimonie per le dee, che ripercorre il sistema cultuale e le cerimonie di fondazione e di dismissione del complesso sacro nelle diverse fasi del santuario.

Nel 2021 il volume Lo strano caso di Francesco Mancinelli Scotti a cura di M.C.Biella e J. Tabolli ha   raccolto importanti contributi sull’archeologia di Narce e sulle vicissitudini delle ricerche ottocentesche.

Narce e i suoi artigiani

La prima monografia dedicata ad una classe di produzione dell’Agro falisco può essere considerata il prezioso lavoro di Maria Gilda Benedettini Note sulla produzione dei sostegni fittili nell’Agro falisco, in Studi Etruschi LXIII, 1999, pp. 3-73. Esito di un lungo studio su tutti gli esemplari provenienti dall’Agro falisco, assieme ad una dettagliata analisi dei loro contesti di provenienza, il contributo di M. G. Benedettini costituisce anche la prima riflessione sulle produzioni in impasto rosso su bianco (o red on white) di Narce. La studiosa, nel presentare una tipologia strutturata dell’intera classe, attribuisce agli esemplari di Narce un carattere di anteriorità rispetto alle produzioni di Falerii, snodo cruciale di tramite tra i calefattoi o sostegni dell’età del Ferro di Veio e le produzioni orientalizzanti dell’Agro falisco. 

Le produzioni in impasto dal territorio di Narce trovano anche un ampio spazio di riflessione nel poderoso apparato tipologico del Dizionario delle ceramiche di impasto dell’età orientalizzante in un approfondimento curato da M. A. De Lucia Brolli e M. G. Benedettini.

Nell’ambito dei lavori approntati sulle diverse classi di materiali nell’Agro falisco incentrati anche su Narce, merita di essere citato il contributo di Laura Ambrosini dedicato nel 2004 a Il bucchero nell’Agro falisco. Un’analisi preliminare, in Appunti sul bucchero a cura di A. Naso, pp. 225-257.

Il testimone è raccolto da Maria Cristina Biella che, nel definire il rapporto di “metamorfosi” che lega le tradizioni in impasto e il bucchero, ha recentemente colto le tracce di quel processo di sperimentazione degli artigiani falisci aperti ma non troppo alla nuova moda della diffusione del bucchero (Le metamorfosi degli impasti in bucchero. Ovvero come gli artigiani falisci seppero adattarsi alla moda del tempo, in Officina Etruscologia 3, 2010, pp. 131-140). 

Le ricerche di M. C. Biella volte allo studio ‘completo’ delle classi di produzione delle ceramiche falische sono state indirizzate agli impasti con decorazione ad incavo e a quelli incisi. Le due monografie del 2007 (Impasti orientalizzanti con decorazione ad incavo nellʼItalia centrale tirrenica) e del 2014 (Impasti orientalizzanti con decorazione incisa nell’Agro falisco) costituiscono uno strumento di lavoro prezioso per comprendere le diverse produzioni di Narce.

In particolare l’autrice registra, grazie ad uno studio a tappeto su tutti i materiali conservati nei depositi dei diversi musei del territorio, una certa anticipazione nelle produzioni a Narce rispetto a Falerii in singolare coincidenza con quanto era già stato proposto da M. G. Benedettini per gli holmoi. 

Un breve contributo dedicato ai biconici fittili dall’Agro falisco è pubblicato nel 2006 da M. Gatto, costituendo il primo censimento, seppur parziale, degli esemplari da Narce e da Falerii (Una classe vascolare falisca d’età orientalizzante: i biconici fittili, in Italia Antiqua. Storia dell’etruscologia. L’arte e la produzione artigianale in Etruria, Atti del II e III Corso di Perfezionamento (A.A. 2003-2004 e 2004-2005), Roma, pp. 239-278). Nel 2005 l’attenzione di due studiosi è incentrata sulle produzioni metalliche anche dell’Agro falisco. Si tratta dei lavori di Ferdinando Sciacca dedicato alle Patere baccellate in bronzo – testo che annovera un buon repertorio sia degli esemplari metallici da Narce che delle realizzazioni in impasto – e di Cristiano Iaia sulle Produzioni toreutiche della prima età del Ferro in Italia centro-settentrionale, che prende in considerazione pochissime attestazioni falische.

Narce e le testimonianze epigrafiche 

Nell’ambito delle produzioni scientifiche dedicate all’Agro falisco, l’impostazione del problema della lingua trova la sua codificazione nel 1963 nella monografia di G. Giacomelli. Sebbene non riguardi specificamente Narce, data l’assenza, fino a quel momento, di iscrizioni in falisco dal sito, il libro della Giacomelli costituisce una premessa fondamentale all’impostazione del problema della lingua, testo che sarà considerato un termine di riferimento costante dai diversi autori che si occuperanno della vexata questio della lingua di Narce.

L’attestazione di sole iscrizioni in etrusco a Narce, fin dall’edizione dei Monumenti Antichi del 1894, è un tratto caratteristico del sito falisco che ha attratto l’attenzione di molti studiosi. Già G. F. Gamurrini, nel curare la sezione epigrafica dei Monumenti, sottolineò questa peculiare caratteristica in riferimento alla monografia del Deecke, di stampo prettamente linguistico, edita pochi anni prima. Nel 1988 è Mauro Cristofani a tornare sull’argomento.

Negli Etruschi nell’Agro falisco Cristofani ipotizza la presenza, stabile nel tempo, di una enclave etrusca a Narce, in particolare legata all’abitato di Pizzo Piede, nelle cui necropoli si concentra la maggior parte delle iscrizioni. Le testimonianze epigrafiche saranno ancora una volta prese in esame prima da Giovanna Bagnasco Gianni nel 1996 (Oggetti iscritti di epoca orientalizzante in Etruria) e poi riconsiderate nel volume del Corpus Inscriptionum Etruscarum redatto nel 2006 da G. Colonna assieme a Daniele Maras.

Si deve a Daniele Maras, nel suo percorso di approfondimento sulle iscrizioni di Narce, il riconoscimento, in una delle iscrizioni etrusche più lunghe e articolate dalla necropoli di Monte Cerreto, del nome della città antica Thevnalthia, che riflette probabilmente un nome locale falisco (D. F. Maras, Questioni di identità: Etruschi e Falisci nell’agro falisco, in Tra Roma e L’Etruria. Cultura, identità e territorio dei Falisci, a cura di G. Cifani, 2013, pp. 265-282).

Testimonianze epigrafiche sono state restituite anche dal santuario di Monte Li Santi-Le Rote, una serie non numerosa ma significativa, in quanto ci segnala la presenza di diverse componenti della società narcense come pure della frequentazione devozionale, a partire da quella che si esprime in etrusco a quella ormai pienamente latina, passando attraverso forme epigrafiche più propriamente falische o falischeggianti (L. Biondi, Le iscrizioni, in Il santuario di Monte Li Santi-Le Rote a Narce (a cura di M.A. De Lucia Brolli), III, 2016, pp. 11-26).